Il dolore è una reazione normale alla perdita di una persona cara che abbiamo perso. Ma è anche essere consapevoli del tempo che passa, delle nostre e altrui capacità che lentamente svaniscono, dei limiti che piano piano si presentano. Proviamo dolore per la sofferenza umana. Ci addorloriamo per i sentieri che non abbiamo camminato, per i desideri a cui non abbiamo lasciato spazio, per gil sguardi che non abbiamo concesso.
Ma mente il dolore può sembrarci inutile, da scartare, da lasciare indietro i prima possibile, in realtà è il riconoscimento del valore di ciò che apprezziamo e di ciò che è stato importante per noi. È solo attraverso la connessione, che avviene tramite pensieri, oggetti, sensazioni e ricordi, che possiamo andare avanti; è per questo che il dolore ci permette di progredire.
Nel mondo di oggi però siamo abituati a tenere il dolore a distanza, a viverlo come qualcosa di terrificante, inspiegabile, sbagliato. Dobbiamo tenerelo a distanza da noi stessi, ma anche dagli altri, trattandolo come un nemico della nostra felicità e del nostro equilibrio. E ci si vergogna di provare dolore.
Vedo ogni giorno tantissime persone che si obbligano a tornare alla routine, si obbligano a tornare come prima pur di non sentire e di non riconoscere che ciò che stanno vivendo non è più in linea con i loro bisogni e i loro valori attuali.
È normale cambiare e avere nuove esigenze e vivere emozioni forti quando ciò che stai vivendo non si allinea più con te stesso.
Se ci si concede di soffrire, si ha paura che annegheremo nella disperazione, ma ci si dimentica in realtà che il dolore, specialmente quando si perde qualcuno di caro, è un'esperienza universale, sana e temporanea.
Senza di essa, rischiamo di rimanere bloccati e limitare il nostro "sentirci vivi".